Il Romanzo di Ennio D’Addeo: L’isola Tranquilla (001)


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  • Il Romanzo di Ennio D’Addeo: L’isola Tranquilla (001)

  • Salerno 21 settembre 2008 by alessio.101


Informazioni sulla foto: L’immagine riprodotta in basso si riferisce alla Scuola Elementare Grancia in provincia dell’Aquila e non si riferisce al romanzo allegato, l’autore della foto è di www.ddripandelli.it

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Ennio D’Addeo è nato e vive a Salerno. È docente di Letteratura francese. Finalista al Premio “Racconti in rete”, ha ricevuto il riconoscimento speciale della giuria per il Premio “Eraldo Miscia Città di Lanciano nel 2000”. Scrive anche pièces teatrali e concede l’autorizzazione per la pubblicazione del suo romanzo inedito ©2008 “L’isola Tranquilla” al solo amministratore di questo “Blog” ©2008⁄2008 http://www.sportcinema.it ed è assolutamente vietato copiare nel sito anche alcune parti dello stesso romanzo senza l’autorizzazione verbale dell’autore.


L’ISOLA TRANQUILLA

La scuola media si trovava sul cocuzzolo di una collina spellacchiata e sovrastava un gruppo di case basse che si arrampicavano lungo il pendìo; compariva di fronte, appena passata la curva, dopo il ponticello che scavalcava il letto di un torrente secco. Il contadino che le aveva dato l’indicazione era stato preciso: lo aveva incontrato dopo chilometri di desolazione, sul ciglio della strada, mentre trasportava una carriola piena di erbacce, la faccia antica cotta dal sole, e non gli sembrava vero di poter essere di aiuto a qualcuno, ad un’abitante della città lontana, ad una professoressa, addirittura! :– Sta là ‘ncima, signorì – aveva detto, e lei era andata via contenta in cuor suo per quel “signorina” che le toglieva in po’ di anni. Il preside presso il quale si era recato la mattina per la presa di servizio in centrale, era stato piuttosto vago: lasci la statale e continui per qualche chilometro… Avrebbe potuto benissimo dire: giri dopo il distributore di benzina, continui fino alla casa colonica diroccata e giri ancora a destra… Ma a volte così erano i dirigenti, la testa era abituata a dire tante parole che non concludevano niente che anche il dare una semplice indicazione si scontrava con l’incapacità congenita di scendere nel concreto. L’aveva fatta entrare dopo un buon quarto d’ora di anticamera, e lei aveva capito subito il tipo: la scrivania era un miracolo di ordine, negli scaffali della libreria due o tre enciclopedie, il Giannarelli e vari compendi legislativi. Nessun’altra lettura amena, né una foto, né un fiore, niente che avesse potuto distogliere dall’austera atmosfera scolastica. L’aveva guardata un attimo senza alzarsi dalla sedia sulla quale stava impettito (la cavalleria doveva cedere il passo alla funzione dirigenziale) e l’aveva salutata con fredda cordialità. Era piccolo, magro, i capelli neri e lisci pettinati all’indietro, la giacca blu e il gilet rosso ruggine, la cravatta a righe che si era portata qualche anno fa. Stava lì, gli avambracci sullo spigolo della scrivania come le buone regole di galateo prescrivono quando si è a tavola, bravo scolaro che pensava di dominare tutto il conoscibile eseguendo diligente i compiti un giorno dopo l’altro. Finse di consultare delle carte che certo doveva conoscere a memoria ed esordì dicendo :– Dunque lei sostituisce la signora Scotto e prenderà servizio immediatamente – Dopo un poco capì perché la collega aveva preso un mese di congedo: la scuola era una di quelle poche che avevano adottato il trimestre, cosicché a metà dicembre ci sarebbe stato il lavoro tedioso dei consigli, dei giudizi analitici e globali, copiatura schede e consegna. La collega sarebbe tornata due giorni prima delle feste, a lavoro finito, naturalmente. D’altra parte una supplenza a metà novembre non si rifiutava: non nel suo caso, almeno. Il Provveditorato che doveva fare le nomine annuali se la prendeva comoda, e un impiegato con la faccia scocciata le aveva detto chiaramente che se ne parlava dopo Natale. La telefonata alle otto di mattina l’aveva presa lei, per fortuna, la madre non ci avrebbe capito niente. :– Signora Emanuela Ventura… si deve presentare immediatamente – Forse era stato il preside stesso a telefonare. Un buco nella sua rete perfetta di orari, disposizioni e programmi non andava tollerato, si doveva tappare al più presto. Il cielo era plumbeo e minacciava pioggia: la Renault 4 azzurrina, dopo aver arrancato penosamente su per la ripida salita si fermò nel piazzale sterrato. Era il ricordo dei quattro anni passati in Provenza: l’aveva presa d’occasione, allora quasi nuova. Quando era tornata a casa aveva lasciato la targa francese assai più a lungo del consentito, attirandosi le ramanzine dei poliziotti che la fermavano ai controlli. Ma tant’è: le faceva credere di essere rimasta un poco ancora lì, e poi, se non ce l’ha una che insegna francese, chi diavolo ha il diritto di averla? Finchè aveva avuto la targa giallina era stata una miriade di domande da parte degli alunni: siete nata in Francia, come sono le scuole, che si mangia… E anche i colleghi, hai insegnato in Francia, chissà come sarà diverso, perché sei andata lì, e perché sei ritornata… le pareva di essere una marziana. Cosa mai avrebbe potuto rispondere? Che i ragazzi entravano ordinati in classe e dicevano uno dopo l’altro “Bonjour, madame”, alle pareti erano appesi poster delle principali città del mondo cosìcchè la classe sembrava un’agenzia di viaggi e che il proviseur aveva la bonaria faccia di un panettiere che non disdegnava di giocare alla pétanque con i colleghi: Madame Deyroux, Monsieur Quentin, Monsieur Lecomte, adorabili personaggi rivestititi dell’umiltà provenzale che poi diventa precisione e buona volontà nel lavoro…

Il fabbricato era basso, con l’intonaco bianco scrostato in più punti. Dalle vetrate sporche si intravedevano classi piccole e vuote. Doveva essere stata una scuola elementare, poi convertita in succursale della scuola media in virtù di quei misteriosi accorpamenti che vengono decisi chissà dove. La porta a vetri era socchiusa: l’atrio era piccolo, alle pareti i soliti lavori di ricerca sul razzismo e sulla pace: volti di negri e di cinesi che sembravano stupiti di essere arrivati fin lì. Si vedevano un paio di classi, ordinate e silenziose: dal corridoio non veniva nessun rumore, tranne il sibilo del vento tra gli infissi un po’ scollati. Si domandò se non avesse sbagliato posto. All’inizio del corridoio c’era una specie di cucinotto: sul tavolino una piastra elettrica e la macchina del caffè, nell’armadietto semiaperto si vedevano bicchierini di plastica e posate, appesi ad un attaccapanni dei grembiuloni blu: doveva essere il regno dei bidelli. Immaginò al mattino presto i colleghi lì riuniti per il rito del caffè, i discorsi tra il fumo delle sigarette, il sottile fastidio ad incominciare una nuova giornata…

Un fruscìo la fece girare: era una donna di mezz’età che stava entrando, con due grosse buste piene di insalata. Rimase un attimo ferma a guardare Emanuela, non sapendo forse se trattare l’intrusa con rispetto o con meno buonagrazia. :– Ma voi… chi cercate? – chiese infine. :– Veramente mi hanno mandato qui dalla centrale. Sostituisco la signora Scotto – disse quella. La risposta sembrò spiegare tutto. :– Ah, siete la supplente – tradusse per se stessa posando le buste – La signora l’aveva detto che si metteva in malattia – Si tolse il cappotto e lo appese ad un gancio nel cucinotto. :– Ma com’è che non c’è nessuno? – domandò Emanuela :– Come? Ah, già… ma oggi sono venuti i pulmini a prenderli, dovevano andare a vedere una mostra dei cosi, non so, di quelli che fanno le ceramiche, lì al Castello – :– Ah, e quando tornano? – :– Bè, mai prima delle undici: che poi i pulmini devono prendere le altre scuole, le elementari, e facendo il giro il tempo ce lo mettono… – Bene, così sarebbe rimasta lì a perder tempo per due ore: a saperlo sarebbe venuta direttamente alle undici. Ma no, via, aveva fatto la presa di servizio alle otto e mezza: solo un principe le avrebbe potuto dire “signora se la prenda comoda, stamattina non ha lezione fino alle undici –. :– Accomodatevi nella stanzetta del vice–preside – le disse quella che ormai giudicò essere senza ombra di dubbio la bidella–in–capo – Si sta più caldi – :– Oggi sto sola – aggiunse – la collega ha avuto il padre che non s’è sentito bene e non è venuta – La stanzetta era veramente piccola:una scrivania e un armadio ci entravano a malapena. Però era vero, c’era un bel calduccio che consolava. :– Ma voi venite dalla città? – domandò poi. Oh, le domande delle bidelle! Dopo cinque minuti che si parlava con loro si sapevano tutti i fatti di famiglia e della scuola, e si era costretti a riferire di parenti, stato di servizio, gusti e preferenze. Sì, veniva dalla città, no, non aveva mai insegnato qui prima, però a quella scuola a dieci chilometri, e aveva conosciuto la professoressa tal dei tali che aveva il figlio un poco scemo (autistico era un aggettivo al di fuori della sua portata), no, non era sposata, e davvero non era il caso di parlarle della Francia. :– Volete un poco di caffè? – chiese infine :– No, grazie, l’ho preso prima di uscire – :– Senza complimenti, lo faccio – :– Oh, no, veramente – Tolse dei vecchi giornali da sopra all’armadio e raddrizzò la logora poltrona di pelle. :– Accomodatevi, qua state comoda . Io mò vado a spicciare i bagni… Se avete bisogno – :– Grazie, mi metto un po’ a leggere – :– Figuratevi, fate le cose vostre – Se ne andò finalmente, per tirare fuori dal cucinotto un secchio e degli stracci.

Fine del primo capitolo… e vi alleghiamo una link molto interessante http://www.ddripandelli.it/ingresso.htm


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Il Romanzo di Ennio D’Addeo: L’isola Tranquilla (001)ultima modifica: 2008-09-21T01:34:49+02:00da airone2124
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