(004) – Geo la natura intorno a noi: L’epopea delle Anguille


GEO LA NATURA INTORNO A NOI

CAPITOLO 4

L’EPOPEA DELLE ANGUILLE


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Nel 1904 un naturalista danese, di nome Johannes Schmidt, navigava nell’Atlantico del Nord a bordo del battello Thor. Il suo compito era quello di indagare sulle uova e sulle larve dell’aringa, del merluzzo e di altri pesci di comune uso alimentare; ma quando la sua rete fu calata al largo delle isole Färöer, egli si trovò inopinatamente di fronte alla larva di un’anguilla. Che ci faceva una larva di anguilla nell’Atlantico? Aveva forse trovato, Schmidt, il luogo misterioso in cui tale specie depone le uova? Ma non era inverosimile che le anguille risalissero dal Mediterraneo sino all’Atlantico settentrionale per deporre le uova? Queste e altre domande si affacciarono una dopo l’altra alla mente del naturalista; egli decise di veder chiaro nella sua straordinaria scoperta. Ma non immaginava che avrebbe dovuto impiegare i successivi diciotto anni della sua vita per venirne a capo. Premio e conforto delle sue fatiche, e soprattutto ricordo della sua tenace sagacia, oggi a Copenaghen si erge la statua di Johannes Schmidt, l’uomo che risolse il mistero dell’anguilla. Si trattava, in verità, di un mistero millenario. Il primo che se ne enunciò con chiarezza i termini fu addirittura Aristotele, più di duemila e trecento anni orsono. E lo fece in modo encomiabile, come era solito nelle questioni di biologia e di morfologia animale. Pochi forse sanno che le ricerche biologiche del grande filosofo greco furono spesso condotte con uno spirito scientifico del tutto moderno e che molti di tali ricerche, assolutamente validi, sarebbero stati riscoperti duemila anni più tardi dalla scienza europea che ne aveva perduto il ricordo. Charles Singer dà un breve elenco di alcune di queste scoperte:

a)una serie di testimonianze sulla vita e particolarmente sui modi di riproduzione di una grande varietà di animali; sono prese in considerazione circa 540 specie;

b)ricerche embriologiche sullo sviluppo del pulcino, che è sempre stato da allora il classico oggetto per simili ricerche;

c)osservazioni sulle abitudini e sullo sviluppo dei cefalopodi, che in parecchi casi solo in epoca moderna sono state sorpassate;

d)descrizioni anatomica sello stomaco quadripartite dei ruminanti, delle complesse relazioni dei dotti e dei vasi nel sistema riproduttivo dei mammiferi e dei caratteri mammiferi dei delfini e dei marsuini, tutte insuperate sino al secolo XVI;

e)osservazioni su talune curiose forme di sviluppo dei pesci. Fra queste ve n’è una su una specie di pescecani la cui prole è attaccata alla matrice mediante un cordone ombelicale e una placenta quasi come un mammifero. Nulla, quanto la riscoperta di questo fenomeno, ha maggiormente contribuito a rinsaldare nei nostri tempi la reputazione scientifica di Aristotele.


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Fra le osservazioni ricordate al punto e) ne va aggiunta una che ci interessa direttamente: Aristotele dichiarò che le anguille mature, da tutti ritenute esclusivamente pesci di acqua dolce, in realtà migrano entro il mare, dove poi misteriosamente spariscono. Ci sono buone ragioni per ritenere che egli si fosse reso conto anche del fenomeno inverso e cioè di come le anguille, ancora sotto forma di ceche, risalissero dal mare ai fiumi. Erano osservazioni preziose e rigorosamente esatte, come oggi sappiamo, ma per lo più non vennero credute, o comunque utilizzate. Al loro posto nacquero secolari leggende le quali testimoniavano solo di una cosa, cioè del fatto che tutti si erano resi conto di quanto enigmatici e incomprensibili fossero la vita e il ciclo di riproduzione delle anguille. Nel 1600, quattro secoli fa, in un’epoca che vide il nascere della moderna scienza europea, ma anche il diffondersi di uno spirito fabulistico esasperato, si andava ancora vaneggiando di mitologici accoppiamenti fra anguille e serpenti o draghi, mentre i più «seri» ritenevano che le anguille, per riprodursi, si strofinassero contro le rocce e che dai cascami di pelle così prodotti si sviluppassero poi degli individui completi. Alla fine del XVII secolo, e cioè nel 1684, l’italiano Francesco Redi avanzò un’ipotesi esatta: disse che le anguille si riproducevano mediante uova e aggiunse di ritenere che tali uova venissero deposte in mare. La prima parte dell’ipotesi venne dimostrata esatta solo nel 1777, quando Mondini, professore dell’Università di Bologna, nel sezionare un’anguilla femmina ne scoprì e mise in evidenza l’ovaia. Quanto alla seconda parte dell’ipotesi del Redi, si dovette ancora attendere parecchio per una riprova. Intanto, nel 1856, il naturalista tedesco Johan Jacob Kaup fece una scoperta che a tutta prima non sembrò interessare affatto le anguille: trovò, nello Stretto di Messina, un piccolo pesce sconosciuto e lo battezzò leptofefalo. Occorsero altri ventidue anni perché due naturalisti italiani, Giovan Battista Grassi e Salvatore Calandruccio, scoprissero che cosa si celava nel minuscolo leptocefalo. Essi allevarono in acquario questo organismo trasparente e fogliforme, la cui lunghezza variava tra i sei e i settentasei millimetri, e assistettero con grande stupore alla sua metamorfosi: i piccoli pesci−larva si trasformarono infatti nello stadio di ceche delle comunissime anguille d’acqua dolce. Il leptofefalo, dunque, non era che uno stadio larvale dell’anguilla. A questo punto era chiaro che aveva avuto ragione il Redi a supporre, duecento anni prima, che le anguille deponessero le loro uova nel mare; ma dove e come ciò accadesse restava un mistero. Le cose stavano esattamente a questo punto, quando Schmidt fece la sua scoperta al largo delle isole Färöer. Di lì partirono le sue pazienti ricerche; in realtà egli era ben lontano dal luogo chiave di tutta la faccenda e dovette riempire carte e carte migratorie prima di approdarvi. Fu un inseguimento lungo e snervante, che si dipanava su rotte sempre più incredibili, delle quali peraltro Schmidt arrivò a conoscere solo le principali, poiché molti altri particolari dovevano essere scoperti dopo di lui, e cioè solo una trentina d’anni fa.


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Le anguille più conosciute sono quelle del Mediterraneo e dell’America del Nord; ma ve ne sono anche di asiatiche, di australiane e di neo−zelandesi. Ciò che ora diremo dei primi due gruppi vale però anche per tutte le altre. In autunno dunque le anguille adulte di tutti i fiumi d’Europa migrano verso il mare; lo stesso avviene nel Nord America e in tutti gli altri luoghi ricordati. Comincia allora un viaggio che ha dell’inaudito e che ha come meta comune il Mare dei Sargassi. Spinte dall’impulso misterioso della procreazione, le anguille attraversano l’Atlantico e, giunte nel Mare dei Sargassi, depongono le uova e muoiono. Le uova galleggianti si trasformano in larve, ancora oggi chiamate leptocefali, cos’ come le denominò, sulla base di un errore di classificazione, il Kaup due secoli fa. Le larve vanno alla deriva, trasportate dalla Corrente del Golfo; poi, man mano che ingrossano, cominciano a nuotare vigorosamente. Non conosciamo ancora con precisione attraverso quali fasi evolutive passino i leptocefali, ma nel 1928 la spedizione scientifica Dana ne pescò un esemplare di ben un metro e mezzo di lunghezza! Il fatto del tutto straordinario è che i leptocefali, nati dalle uova deposte nel Mar dei Sargassi, ripercorrono a ritroso esattamente la via compiuta dai loro genitori, che essi tuttavia non avevano mai visto prima, così come i loro genitori non avevano mai visto il Mar dei Sargassi. Le larve delle anguille europee impiegano ben tre anni a riattraversare l’Atlantico, per giungere in vista delle loro sedi ancestrali immancabilmente a primavera. Le anguille del Nord America impiegano a loro volta un anno per compiere il loro percorso. Giunte a destinazione, esse si trasformano nello stadio di ceche e risalgono le correnti dei fiumi. Qui crescono come anguille gialle per un periodo che va dagli otto ai dodici anni e che è comunque più lungo per le femmine. Sino a che un bel giorno d’autunno, chiamate da un istinto misterioso o da un segnale invisibile, si precipitano verso il mare, incuranti dei mille trabocchetti che gli uomini dispongono al loro passaggio, e, ormai sotto forma di anguille argentine, cominciano il lungo viaggio verso l’ignoto e verso l’amore e la loro rinascita. Un infallibile nocchiero nascosto nel loro meccanismo istintivo le condurrà fatalmente nel paradiso del Mar dei Sargassi, ove le attende infatti la morte, dopo che esse hanno diligentemente compiuto il loro ciclo biologico e riannodata l’eterna catena delle generazioni e della sopravvivenza della specie. Così almeno dicono gli studiosi.


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Altri episodi del mare… continuano sull’articolo (005), intitolato: I FALSI MIGRATORI, un arrivederci da Alex.


Articolo del 26 novembre 2008 postato da Alex, l’argomento è stato tratto da: Negli Oceani editore Fermi, autore by Oscar Talassici, per tanto tutti i diritti restano riservati agli autori delle singole categorie.


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(004) – Geo la natura intorno a noi: L’epopea delle Anguilleultima modifica: 2008-11-26T12:08:12+01:00da airone2124
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